Con un bel respiro iniziamo a rilassarci

Il Biofeedback e le tecniche di rilassamento

“Finalmente ho tirato un respiro di sollievo”, “Un bel respiro e vai!!!” … e come non pensare a tutte quelle situazioni in cui a fronte di un imminente pericolo o di una condizione di ansia percepita, possiamo dire di aver sentito un grande sollievo nel tirare un bel respiro.

Nella pratica clinica, sia quando si propone un training di rilassamento sia quando questo si accompagna all’uso di apparecchiature di tipo BioFeedback, un passo inziale e quasi obbligato è proprio quello di mostrare ai pazienti cosa accade al proprio corpo quando gli si chiede di fare “un respiro profondo”.

A breve prenderemo in esame in cosa consistono le tecniche di rilassamento e nello specifico in cosa consiste l’uso di apparecchiature elettromedicali applicate alla tecnica del BioFeedBack o NeuroFeedback.

Nella rassegna bibliografica sull’argomento è doveroso considerare i lavori del prof. Massimo Biondi (Ordinario di Psichiatria di “Sapienza” Università di Roma) e della dott.ssa Martina Valentini, che valutano l‘efficacia delle Tecniche di Rilassamento e delle tecniche di BioFeedBack, oltre a fornire un quadro di riferimento teorico sul funzionamento neurofisiologico del nostro organismo.

Numerosi studi di psicofisiologia hanno documentato per decenni come l’attivazione emozionale suscitata da eventi o situazioni conflittuali e stressanti, sia in situazioni sperimentali che non, produca modificazioni di numerose variabili psicofisiologiche, quali: l’attività elettromiografica, la frequenza cardiaca, la vasomotilità periferica, la pressione arteriosa, la secrezione e la motilità gastrointestinale, modificazioni dell’attività elettroencefalografica, dell’attività elettrotermica, del diametro pupillare, della salivazione, delle risposte sessuali ed altre ancora con profili di reattività in risposta ad uno stesso stimolo, anche diversi da individuo a individuo.

Le tecniche di rilassamento si fondano sull’esistenza di processi fisiologici “naturali” di autoregolazione dell’organismo principalmente centrati sull’equilibrio neurovegetativo. In sostanza, partono da meccanismi che si verificano già nell’alternarsi ritmico di stati di attività riposo-movimento-quiete con attivazione dei poli adrenergico (ergotropo) e colinergico (trofotropo).

Tali tecniche favoriscono l’apprendimento di meccanismi interni indicendo una sorta di “ginnastica” fisiologica che favorisce il recupero delle abilità naturali di cui è dotato l’organismo.

Processi di questo tipo sono ad esempio attuati ogni sera spontaneamente nell’induzione dell’addormentamento, nel riposo dopo uno sforzo fisico o mentale, così come nella fase di recupero che segue una risposta di allarme.

Esistono diversi tipi di tecniche di rilassamento, con un peso maggiore o minore ai processi mentali associati.

La prima delle tecniche di rilassamento diffusa in Occidente in ambito medico è il Training Autogeno di Schultz cui seguirono a distanza di anni numerose altre, tra cui la Meditazione Trascendentale, la Risposta Rilassante di Benson, la Quieting Response di Stroebel , il rilassamento guidato con EMG-biofeedback di Basmajan , il Biofeedback dei ritmi elettroencefalografici (EEG) alfa e della risposta elettrotermica, il rilassamento progressivo di Jacobson (Jacobson, 1922), il rilassamento secondo Araujaguerra, il rilassamento attivo di Biondi (Biondi & Mantua 2001) e diverse altre.

Sebbene le procedure siano differenti, queste tecniche hanno aspetti e caratteristiche in comune, quali: la focalizzazione dell’attenzione sugli stati interni, l’apprendimento al controllo della tensione muscolare, le modificazioni psicofisiologiche del sistema muscolare, neurovegetativo e neuroendocrino.

Altre tecniche, derivate dallo yoga e dalla meditazione trascendentale negli altri ‘70, sono ulteriori esempi fino a giungere alle recenti tecniche di Mindfullness di Kabat Zhin (Kabat‐Zinn, 2003).

Lo scopo comune, pur con diversità legate alle teorie e alle procedure, è quello di facilitare l’apprendimento di metodiche di rilassamento per migliorare il senso di benessere, addestrare all’autocontrollo fisico e psichico, ridurre lo stress, l’ansia e i sintomi ad essi correlati.

In una visione di tipo psicosomatico e globale di funzionamento di organi e sistemi, è utile pensare all’organismo come dotato sia di risposte di attivazione (la risposta biologica e comportamentale di ansia, stress e lotta-fuga) sia di risposte e meccanismi endogeni opposti “antiansia” e antistress che si attivano a seconda delle necessità e che sono in grado di “automodulare” stati interni per adattare momento per momento l’organismo alle richieste dell’ambiente. Si alternano attivazione e sollecitazione sotto stress e rilassamento/distensione in fasi successive.

Il cosiddetto “sospiro di sollievo” dopo uno stato di tensione o paura ne è un esempio.

In questi casi, infatti, l’analisi di un tracciato psicofisiologico mostra i seguenti parametri: la modulazione ortosimpatica e parasimpatica con la registrazione di un’aritmia sinusale nel tracciato ECG, un lieve rallentamento della frequenza cardiaca nella fase di espirazione, la temporanea riduzione della tensione muscolare EMG in vari distretti e della conducibilità elettrica cutanea (risposta GSR), la dilatazione vascolare periferica (modificazioni pletismografiche), la riduzione delle frequenze rapide EEG, cui possono associarsi lieve senso di distensione psichica e un lieve aumento del senso di autocontrollo.

Tali modificazioni durano in genere 10-20 secondi (Andreassi, 1980).

L’attivazione emozionale (emotional activation o arousal) ha diversi correlati psicofisiologici, così come la fase di distensione che segue. Parallelamente alla riduzione della tensione muscolare e della attivazione neurovegetativa adrenergica una componente fondamentale comune a quasi tutte queste tecniche è lo sviluppo della percezione di un crescente autocontrollo.

Vari autori concordano sul fatto che questa rappresenti un ingrediente cognitivo-emozionale rilevante dell’effetto terapeutico (Biondi & Mantua, 2001). Anche gli stati mentali di meditazione presentano un insieme di modificazioni psicofisiologiche simili a quelle evidenziabili nelle tecniche di rilassamento.

La meditazione ha ricevuto una certa attenzione nella letteratura medica come possibile adiuvante nel trattamento di diversi disturbi, sia per un effetto psicologico generale che per dimostrati effetti biologici favorevoli in alcuni processi di malattia somatica (Arias, Steinberg, Banga, Trestman, 2006).

La meditazione si focalizza quindi sul controllo del respiro insieme a metodiche immaginative, concentrazione sugli stati interni “momento per momento”, che risulta basilare al fine di raggiungere stati di rilassamento psicofisico, favorire l’autocontrollo, ridurre l’ansia, aumentare il distacco dall’ambiente e il potenziamento dell’autoconsapevolezza.

Le tecniche di rilassamento, invece, utilizzano risposte naturali dell’organismo prodotte in fasi di distensione e riposo che seguono fasi di attivazione, principalmente coinvolgenti meccanismi neurovegetativi, muscolari ed endocrini, nonché comportamentali.

Un importante ruolo in questi processi del ciclo naturale attività/riposo lo svolgono pensieri, emozioni e meccanismi di autoregolazione psicofisiologica. In conclusione, le varie tecniche, pur usando metodi di induzione differenti, tendono a produrre modificazioni finali sia psicologiche che somatiche piuttosto simili.

Psicofisiologia del biofeedback

Il Biofeedback (letteralmente feedback biologico) (BFB) è in questa prospettiva un esempio molto interessante di tecnica di autoregolazione degli stati psicofisiologici. Alla sua nascita negli anni ’70 negli Stati Uniti, il BFB apriva nuove ed interessanti prospettive terapeutiche che in parte ha mantenuto in medicina (Miller NE, DworkinRB, 1972).

Introdotto in Italia dal gruppo di Paolo Pancheri (fondatore della Società Italiana di Biofeedback) presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e da Antonino Tamburello nell’ambito della psicoterapia comportamentale, venne proposto come una sorta di via occidentale allo yoga in quanto terapia basata sull’apprendimento e l’autocontrollo di funzioni del proprio corpo cui si poteva avere “accesso” attraverso bioamplificatori.

La tecnica ha avuto varie applicazioni terapeutiche, dall’ansia ai disturbi psicosomatici, così come in vari settori specialistici tra cui la broncopneumologia, la rieducazione delle incontinenze sfinteriche, delle stomie postoperatorie, di alcune forme di epilessia, in medicina riabilitativa e neurologia (Pancheri, 1979).

Uno dei fondamenti più forti era la dimostrazione derivante da numerosi studi sperimentali della possibilità di un apprendimento non solo comportamentale ma anche viscerale, riguardante risposte somatiche e ghiandolari attuato mediante le normali procedure di condizionamento operante (Miller, 1979).

Il biofeedback si basa sull’idea che se un soggetto viene informato delle variazioni di attività di un parametro fisiologico di cui di norma non è consapevole può in qualche misura apprendere a controllarlo.

La tecnica si basa pertanto sulla rilevazione di parametri fisiologici (tensione muscolare, attività elettrodermica, frequenza cardiaca, attività di ritmi EEG, temperatura cutanea, ecc.) e l’elaborazione attraverso un bioamplificatore che restituisce al soggetto di un segnale sonoro o visivo che varia proporzionalmente a seconda del livello di attività della funzione monitorata.

Se un soggetto riduce la sua tensione muscolare, l’attività media EMG si riduce, il segnale sonoro di ritorno che ascolta diminuisce la frequenza e il soggetto viene “guidato” a rilassarsi apprendendo ad autocontrollare il proprio stato di tensione attraverso prove successive. Analogamente accadrà per il ritmo alfa dell’EEG durante l’induzione del rilassamento attraverso l’uso di tecniche o della meditazione.

Il biofeedback, inteso come una via rapida di addestramento all’autocontrollo psicofisiologico, ha avuto importanti conferme in alcune applicazioni terapeutiche e riabilitative in medicina ma solo in parte confermate rispetto alle seducenti aspettative di essere una sorta di scorciatoia verso stati di coscienza particolari (ad esempio attraverso la sincronizzazione interemisferica dell’attività alfa dell’EEG o il controllo dei ritmi theta) oppure l’autocontrollo di parametri fisiologici come frequenza cardiaca e pressione arteriosa sia in soggetti sani che malati.

Il biofeedback è stato sin dagli inizi considerato uno strumento rilevante per il suo effetto terapeutico sia legato all’apprendimento dell’autocontrollo sia a fattori cognitivi a questo connessi (Reda, 1979).

La tecnica del “rilassamento attivo”.

L’applicazione del rilassamento attivo avviene in condizioni di riposo, solitamente su una poltrona, all’interno di un ambiente “protetto”. Tuttavia, tale setting non è rappresentativo della vita reale e delle situazioni di stress che viviamo nella quotidianità pertanto il beneficio di una seduta di rilassamento può scomparire velocemente.

Tale problema è spesso osservabile in soggetti sofferenti di cefalea tensiva, di bruxismo, di somatizzazioni d’ansia, di disturbi fobici e di disturbo da attacchi di panico (Biondi, Osti, Delle Chiaie, 1992; Biondi, Portuesi, 1992).

La tecnica del “rilassamento attivo” nasce dall’osservazione che spesso i pazienti che vengono addestrati con BFB imparano a rilassarsi nell’ambiente di seduta con il terapeuta ma incontrano difficoltà a produrre uno stato di rilassamento nelle comuni situazioni di vita quotidiana.

Attraverso la tecnica del “rilassamento attivo” viene introdotta la progressiva abilità a rilassarsi mentre si esegue un compito stressante di complessità crescente, inizialmente all’interno di una serie di sedute e successivamente in situazioni reali esterne, con l’obiettivo finale di migliorare l’efficacia del rilassamento e di generalizzare la tecnica alle comuni situazioni di vita quotidiana.

La tecnica del rilassamento viene attuata in quattro fasi sequenziali: 1. Viene utilizzata la modalità di apprendimento standard all’interno della seduta; 2. Lo stato di rilassamento viene prodotto ad occhi aperti non su un lettino ma su una sedia o poltroncina puntando all’abilità di produrre una risposta di rilassamento rapida fino a raggiungerla in un tempo massimo di cinque secondi; 3. Il soggetto viene addestrato ad ottenere una risposta rapida durante minime attività (mentre guarda la TV, legge un giornale, etc.) fino a sviluppare un soddisfacente grado di controllo durante tutta l’attività; 4. Apprendimento di una risposta rapida di rilassamento in momenti di maggiore stress (ad es., mentre si conversa al telefono, durante una discussione con il terapeuta su temi che destano attivazione emozionale sia negativa che positiva, mentre si conta all’indietro partendo da un numero elevato, etc.); 5. Generalizzazione dell’apprendimento a contesti di vita quotidiana extra seduta cercando di attuare la tecnica numerose volte al giorno sia in casa che fuori (durante la guida, il lavoro, lo shopping, etc.).

Il rilassamento “attivo” permette di aumentare i benefici delle tecniche di rilassamento classiche.

L’apprendimento richiede comunemente due o tre sedute sia per le fasi 1 e 2 che per la fase 3. Nella maggior parte dei casi le fasi 4 e 5 possono destrare maggiori difficoltà di apprendimento pertanto è possibile ampliare la pratica ad un periodo di tre o quattro settimane al fine di impadronirsene. È indispensabile che il passaggio da una fase alla superiore si attui solo se c’è padronanza consolidata della precedente.

Può essere utile, ma non indispensabile, monitorare i progressi ottenuti mediante un’apparecchiatura di EMG-BFB. La rilevazione EMG è in genere frontale o, a seconda del problema clinico, a livello dei muscoli masseteri, nucali, o di altre sedi (ad ee., mentoniero nella balbuzie, dell’avambraccio nel crampo dello scrivano, nelle sedi specifiche nel caso di tic muscolari funzionali).

In tali casi, si procede prima guidando l’apprendimento con il feedback acustico (in cui il soggetto avverte un suono direttamente proporzionale al suo livello di tensione muscolare) e successivamente senza feedback.

In alcuni casi può essere necessario associare tecniche di tipo cognitivo e di stress management con un trattamento farmacologico. Infatti, in soggetti con elevata quota di ansia, la terapia farmacologica facilita l’apprendimento delle tecniche e l’esposizione a situazioni temute.

In sintesi, il fattore-chiave è quello di favorire l’apprendimento della gestione di situazioni di stress attivando contemporaneamente risposte di rilassamento. Affinché questo si verifichi occorre che il soggetto sia specificamente addestrato attraverso l’apprendimento gerarchico delle fasi del rilassamento attivo.

Bibliografia
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2020-02-12T12:24:02+01:00