Disturbi di Personalità2019-03-21T16:27:47+02:00

Disturbi di Personalità

La personalità di ognuno è costituita da un insieme di tratti (modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi) che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali.

I Disturbi di Personalità sono dei modelli costanti di esperienza interiore e di comportamento che deviano marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e che influenzano la cognitività (modo di percepire ed interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti), l’affettività (adeguatezza, intensità, varietà, labilità delle risposte emotive), il funzionamento interpersonale e il controllo degli impulsi. Fin tanto che i tratti di personalità sono flessibili non costituiscono un problema perché permettono comunque un riadattamento alle diverse situazioni. Quando invece tali tratti sono rigidi e inflessibili si parla di disturbo di personalità.

La personalità è quindi la risultante di una serie di operazioni mentali:

  • costruire un’immagine di sé;
  • dare significato al mondo;
  • agire;
  • relazionarsi con gli altri;
  • trovare soluzioni ai problemi posti dall’ambiente.

I meccanismi deputati a queste operazioni possono mal funzionare e quando la disfunzione intacca aree della vita sociale e interiore assume la forma di un disturbo di personalità.
Disturbo di personalità in genere

DSM-5: Disturbo di personalità in genere – Criteri diagnostici

A. Un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo. Questo pattern si manifesta in due (o più) delle seguenti aree:
1. Cognitività (cioè modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri, gli avvenimenti).
2. Affettività (cioè varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva).
3. Funzionamento interpersonale.
4. Controllo degli impulsi.
B. Il pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali.
C. Il pattern abituale determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
D. Il pattern è stabile e di lunga durata, e l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta.
E. Il pattern abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale.
F. Il pattern abituale non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una sostanza di abuso, un farmaco) o un’altra condizione medica (per es., un trauma cranico).

La diagnosi di disturbo di personalità richiede una valutazione a lungo termine di pattern di funzionamento dell’individuo e le particolari caratteristiche di personalità devono essere evidenti fin dalla prima età adulta. I tratti di personalità che definiscono questi disturbi devono anche essere distinti da caratteristiche che emergono in risposta a specifici eventi situazionali stressanti o stati mentali più transitori.

I disturbi di personalità sono stati classificati, secondo la più diffusa classificazione psicopatologica, in tre gruppi in base ad analogie descrittive:
Gruppo A: Disturbi caratterizzati da un comportamento bizzarro o eccentrico.
Gruppo B: Disturbi caratterizzati da un’alta emotività, imprevedibilità.
Gruppo C: Disturbi caratterizzati da una forte ansia e timore.

Disturbi di personalità del gruppo A:
disturbi caratterizzati da un comportamento bizzarro

Gli individui che ne soffrono tendono ad interpretare le intenzioni e il comportamento degli altri come umiliante e minaccioso, per lo più malevolo. Appaiono sospettosi, diffidenti e polemici. Mostrano una marcata tendenza a reagire con sospetto ai cambiamenti situazionali e a trovare motivazioni ostili e malevole sotto gli atti futili, innocenti o persino positivi degli altri.

Quando la persona ritiene che i propri sospetti siano confermati, a volte reagisce in modi che sorprendono o spaventano gli altri. Sfiducia e sospettosità alimentano quindi un atteggiamento ipervigilante (ricercano segnali di minaccia, di falsità e significati nascosti nelle parole e nelle azioni altrui), si relazionano in maniera cauta e guardinga, appaiono “freddi” e privi di sentimenti; questi individui sono, inoltre, eccessivamente permalosi, polemici, ostinati e sempre pronti a contrattaccare quando credono di essere criticati o maltrattati.

Piccole offese evocano grande ostilità e i sentimenti ostili persistono per molto tempo

Il disturbo si caratterizza per due aspetti principali:
1) l’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro, di distinguere il proprio punto di vista da quello altrui;
2) la difficoltà a differenziare il mondo esterno (realtà obiettiva) e quello interiore (proprie sensazioni e idee). La percezione pervasiva di minaccia, ad esempio, non viene mai considerata come un vissuto soggettivo, una fantasia o un’ipotesi, ma come un dato di realtà assoluto e certo. A livello lavorativo possono essere altamente efficienti e coscienziosi, sebbene di solito abbiano bisogno di lavorare in un relativo isolamento.

DSM-5: Disturbo paranoide di personalità – Criteri diagnostici

A. Diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri, tanto che le loro motivazioni vengono interpretate come malevole, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. Sospetta, senza fondamento, di essere sfruttato/a, danneggiato/a o ingannato/a dagli altri.
2. Dubita, senza giustificazione, della lealtà o affidabilità di amici o colleghi.
3. È riluttante a confidarsi con altri a causa del timore ingiustificato che le informazioni possano essere usate in modo maligno contro di lui o lei.
4. Legge significati nascosti umilianti o minacciosi in osservazioni o eventi benevoli.
5. Porta costantemente rancore (cioè non dimentica gli insulti, le ingiurie o le offese).
6. Percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri ed è pronto/a a reagire con rabbia o a contrattaccare.
7. Sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge o del partner sessuale.
B. Il disturbo non si m anifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, del disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche o di un altro disturbo psicotico, e non è attribuibile agli effetti fisiologici di un’altra condizione medica.

La vita delle persone che soffrono di questo disturbo è strutturata in modo da limitare le interazioni con gli altri: hanno pochi amici stretti o confidenti, scelgono lavori che richiedono un contatto sociale minimo o nullo, non sono coinvolti in relazioni intime e difficilmente riescono a costruirsi una famiglia. Due aspetti sembrano essere preponderanti: la mancanza di relazioni interpersonali e l’assenza del desiderio di queste relazioni. Gli altri vengono considerati come intrusivi e poco gratificanti e i rapporti interpersonali come instabili e indesiderabili.

Appaiono distaccati e freddi, estremamente riservati e indifferenti all’approvazione o alle critiche degli altri e ai loro sentimenti. Hanno un’affettività ristretta: non mostrano forti emozioni né positive né negative. Possono avere una particolare difficoltà nell’esprimere la rabbia, anche in risposta ad una provocazione diretta, e ciò contribuisce a dare l’impressione che manchino di emozioni.

Appaiono il più delle volte assorbiti nei propri pensieri e nelle proprie sensazioni e hanno paura dell’amicizia o dell’intimità. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali definisce il disturbo schizoide di personalità come una modalità pervasiva di distacco dalle relazioni sociali che si accompagna ad una gamma ristretta di espressioni emotive (in contesti interpersonali) che iniziano nella prima età adulta e che si manifestano in una varietà di contesti.

DSM-5: Disturbo schizoide di personalità – Criteri diagnostici

A. Un pattern pervasivo di distacco dalle relazioni sociali e una gamma ristretta di espressioni emotive in situazioni interpersonali che inizia nella prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. Non desidera né prova piacere nelle relazioni affettive, incluso il far parte di una famiglia.
2. Quasi sempre sceglie attività individuali.
3. Dimostra poco o nessun interesse di avere esperienze sessuali con un’altra persona.
4. Prova piacere in poche o nessuna attività.
5. Non ha amici stretti o confidenti, eccetto i parenti di primo grado.
6. Sembra indifferente alle lodi o alle critiche degli altri.
7. Mostra freddezza emotiva, distacco o affettività appiattita.
B. Il disturbo non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, di un disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche, di un altro disturbo psicotico o di un disturbo dello spettro dell’autismo, e non è attribuibile agli effetti fisiologici di un’altra condizione medica.

Il disturbo schizotipico di personalità è caratterizzato da isolamento sociale, comportamento insolito e bizzarro e alcune “stranezze del pensiero” quali: 1) sospettosità e ideazione paranoide (credere che gli altri complottino contro la propria persona); 2) idee di riferimento (interpretare come collegati tra loro eventi che non lo sono); 3) credenze bizzarre e pensiero magico (sentire di avere poteri speciali come il prevedere gli eventi o leggere i pensieri degli altri); 4) esperienze percettive insolite (sentire la presenza di un’altra persona).

Agli occhi degli altri appaiono spesso strani, eccentrici, stravaganti, rigidi e inappropriati nel linguaggio e trasandati nell’abbigliamento. Il disturbo schizotipico di personalità deve il suo nome al lieve confine che lo separa dalla schizofrenia conclamata, infatti, sebbene non siano presenti veri e propri deliri o allucinazioni, il loro contatto con la realtà è moderatamente compromesso e la logica del loro pensiero è quantomeno “strana” e non lineare.

DSM-5: Disturbo schizotipico di personalità – Criteri diagnostici

A. Un pattern pervasivo di deficit sociali e interpersonali caratterizzato da disagio acuto e ridotta capacità riguardanti le relazioni affettive, da distorsioni cognitive e percettive ed eccentricità di comportamento, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. Idee di riferimento (escludendo i deliri di riferimento).
2. Convinzioni strane o pensiero magico che influenzano il comportamento e sono in contrasto con le norme subculturali (per es., superstizione, credere nella chiaroveggenza, nella telepatia o nel “sesto senso”; nei bambini e negli adolescenti, fantasie e pensieri bizzarri).
3. Esperienze percettive insolite, incluse illusioni corporee.
4. Pensiero ed eloquio strani (per es., vago, circostanziale, metaforico, iperelaborato o stereotipato).
5. Sospettosità ed ideazione paranoide.
6. Affettività inappropriata o limitata.
7. Comportamento o aspetto strani, eccentrici o peculiari.
8. Nessun amico stretto o confidente, eccetto i parenti di primo grado.
9. Eccessiva ansia sociale, che non diminuisce con l’aumento della familiarità e tende a essere associata a preoccupazioni paranoidi piuttosto che a un giudizio negativo di sé.
B. Non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia, di un disturbo bipolare o depressivo con caratteristiche psicotiche, di un altro disturbo psicotico o di un disturbo dello spettro dell’autismo.

Disturbi di personalità del gruppo B:
disturbi caratterizzati da un’alta emotività

Il disturbo antisociale di personalità (precedentemente definita psicopatia o sociopatia) si caratterizza per un’incapacità a conformarsi alle norme sociali, la tendenza a mentire, truffare o ad esercitare violenza su persone, animali, cose. Caratteristica principale è la totale mancanza di rimorso o senso di colpa per le azioni commesse e per una totale inosservanza dei diritti e dei sentimenti altrui.

Sfruttano gli altri per ottenere vantaggi materiali o gratificazione personale. Coloro che soffrono di questo disturbo mettono in atto i propri conflitti in maniera impulsiva e irresponsabile, a volte con ostilità e violenza. Sono scarsamente tolleranti alle frustrazioni. Molti di essi hanno una buona capacità di razionalizzare con disinvoltura il proprio comportamento o di dare la colpa agli altri.

La disonestà e l’inganno permeano le loro relazioni. La punizione raramente modifica il comportamento o migliora il loro giudizio o la prudenza, ma di solito conferma la loro visione del mondo come crudelmente priva di sentimenti. Il paziente antisociale è spesso in grado di mentire, falsificare, ed addirittura di simulare altre patologie fisiche o psichiche. Avendo comunque una scarsa capacità di pianificare ed un’estrema impulsività è necessaria una valutazione intensiva a lungo termine.

DSM-5: Disturbo antisociale di personalità – Criteri diagnostici

A. Un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin dall’età di 15 anni, come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1. Incapacità di conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di atti passibili di arresto.
2. Disonestà, come indicato dal mentire ripetutamente, usare falsi nomi o truffare gli altri, per profitto o per piacere personale.
3. Impulsività o incapacità di pianificare.
4. Irritabilità e aggressività, come indicato da ripetuti scontri o aggressioni fisiche.
5. Noncuranza sconsiderata della sicurezza propria o degli altri.
6. Irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte ad obblighi finanziari.
7. Mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo aver danneggiato, maltrattato o derubato un altro.
B. L’individuo ha almeno 18 anni.
C. Presenza di un disturbo della condotta con esordio prima dei 15 anni di età.
D. Il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o del disturbo bipolare.

Solitamente chi ne soffre presenta una marcata impulsività ed una forte instabilità sia nelle relazioni interpersonali sia nell’idea che ha di sé stesso, oscillando tra posizioni estreme in molti campi della propria vita.

Questo disturbo di personalità si rende evidente nella prima età adulta ma tende a divenire più lieve durante la crescita. Questi individui ritengono di aver subìto una deprivazione di cure adeguate nell’infanzia e di conseguenza si sentono vuote, in collera, in diritto di ricevere accudimento. Come risultato, sono sempre alla ricerca di attenzione. Tuttavia, quando temono la perdita della figura curante, il loro umore cambia sensibilmente e si manifesta spesso una rabbia intensa e inappropriata. Il cambiamento d’umore è accompagnato da drastici mutamenti nella visione del mondo, di se stessi e degli altri, dal bianco al nero, dall’odio all’amore o viceversa.

Il loro punto di vista non è mai neutrale. Quando si sentono abbandonati (cioè, completamente soli), si dissociano o diventano disperatamente impulsivi. Talora, il loro giudizio sulla realtà è così inadeguato che hanno brevi episodi di pensiero psicotico (ad es., idee paranoidi e allucinazioni).
Queste persone hanno relazioni interpersonali di gran lunga più drammatiche e intense rispetto a quelle con disturbi di personalità del gruppo A. I loro processi di pensiero sono più disturbati di quelli dei soggetti con personalità antisociale e l’aggressività è più spesso rivolta contro se stessi.

DSM-5: Disturbo borderline di personalità – Criteri diagnostici

Un pattern pervasivo di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.
2. Un pattern di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzato dall’alternanza tra estremi di iperidealizzazione e svalutazione.
3. Alterazione dell’identità: immagine di sé o percezione di sé marcatamente e persistentemente instabile.
4. Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (per es., spese sconsiderate, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate).
5. Ricorrenti comportamenti, gesti o minacce suicidari, o comportamenti automutilante.
6. Instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore e soltanto raramente più di pochi giorni).
7. Sentimenti cronici di vuoto.
8. Rabbia inappropriata, intensa, o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
9. Ideazione paranoide transitoria, associata a stress, o gravi sintomi dissociativi.

Il disturbo istrionico o personalità isterica è tipico di individui volti a ricercare l’attenzione degli altri, ad essere sempre seduttivi e a manifestare in modo marcato e teatrale le proprie emozioni. Le loro espressioni emotive spesso appaiono esagerate, infantili e superficiali e, come altri comportamenti teatrali, spesso evocano un’attenzione di tipo empatico o erotico negli altri.

Le relazioni, quindi, vengono spesso allacciate con facilità, ma tendono a essere superficiali e transitorie. Tali individui possono associare degli atteggiamenti sessuali provocanti o un’erotizzazione delle relazioni non sessuali, a inibizioni e insoddisfazioni sessuali sorprendenti. L’uso di atteggiamenti seduttivi è soprattutto finalizzato alla ricerca di attenzione e non alla relazione sessuale in se. Possono essere mentalmente seducenti studiando, approfondendo e leggendo libri di interesse scientifico o di altro genere.

L’obiettivo finale è quello di sentirsi riconosciuti, di essere al centro del mondo, di sentire di esistere. Oltre allo stile interpersonale drammatico e inappropriatamente seduttivo, caratterizzano questo disturbo l’impressionabilità, la tendenza alla somatizzazione e la ricerca della novità. Il paziente istrionico può risultare spesso molto invadente fino a ritenere qualsiasi attenzione nei propri confronti da parte degli altri, come la dimostrazione che la relazione sia già intima. Per questo risentono molto delle offese e di ciò che potrebbe allontanarli dall’attenzione degli altri.

DSM-5: Disturbo istrionico di personalità – Criteri diagnostici

Un pattern pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. È a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione.
2. L’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da inappropriato comportamento sessualmente seduttivo o provocante.
3. Manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale.
4. Utilizza costantemente l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé.
5. Lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli.
6. Mostra autodrammatizzazione, teatralità ed espressione esagerata delle emozioni.
7. È suggestionabile (cioè facilmente influenzato dagli altri o dalle circostanze).
8. Considera le relazioni più intime di quanto non siano realmente.

Chi ne soffre tende a mostrare un quadro pervasivo di grandiosità, nelle fantasie e nel comportamento. Le persone che presentano questo disturbo sentono che tutto è loro dovuto e che meritano trattamenti di favore o una soddisfazione immediata delle loro esigenze. Le loro relazioni con gli altri sono caratterizzate dal bisogno di ammirazione e sono estremamente sensibili alle critiche o alle sconfitte.

Quando si trovano di fronte ad un fallimento nel soddisfare la loro alta opinione di sé, possono andare in collera o deprimersi profondamente. La caratteristica principale del disturbo narcisistico di personalità consiste nella tendenza a reagire difensivamente quando la persona sente una ferita al proprio valore. Come reazione vengono messi in atto atteggiamenti superbi, arroganti, di disprezzo verso gli altri come se fossero i principali responsabili dei propri problemi. Poiché si ritengono superiori, spesso credono che gli altri li invidino, e si sentono in diritto di esigere che ci si occupi dei loro bisogni.

Tali individui generalmente mancano di empatia, dimostrandosi incapaci di riconoscere i sentimenti ed i bisogni degli altri, nonché di identificarsi in essi. Nelle relazioni tendono a mostrarsi emotivamente freddi e distaccati, nonché incuranti del dolore che generano nell’altro a causa delle loro osservazioni e considerazioni, il più delle volte espresse con toni altezzosi e sprezzanti.

DSM-5: Disturbo narcisistico di personalità – Criteri diagnostici

Un pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. Ha un senso grandioso di importanza (per es., esagera risultati e talenti, di aspetta di essere considerato/a superiore senza un’adeguata motivazione).
2. È assorbito/a da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza limitati, o di amore ideale.
3. Crede di essere “speciale” e unico/a e di poter essere capito/a solo da, o di dover frequentare, altre persone (o istituzioni) speciali o di classe sociale elevata.
4. Richiede eccessiva ammirazione.
5. Ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative).
6. Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi).
7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri.
8. È spesso invidioso/a degli altri o crede che gli altri lo/a invidino.
9. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti.

Disturbi di personalità del gruppo C:
Disturbi caratterizzati da una forte ansia

Caratteristica di tale disturbo è la convinzione radicata nel soggetto di valere poco. Questo comporta un profondo senso di inadeguatezza nella vita di relazione, un forte timore delle critiche, della disapprovazione altrui e la preoccupazione di essere escluso. Chi ne soffre evita costantemente le interazioni sociali in quanto teme di risultare inadeguato e non riesce a tollerare i giudizi negativi.

Tali individui appaiono ipersensibili al rifiuto e hanno paura di intraprendere nuove relazioni o altre novità, perché possono fallire o restarne delusi pur sentendo un forte desiderio di stabilire relazioni intime. Interpretano il rifiuto come causato esclusivamente dalla loro inadeguatezza e questo confermerebbe la loro convinzione di non essere amabili. La prospettiva del rifiuto è talmente dolorosa e inaccettabile che preferiscono tenersi a distanza dalle persone che, avvicinandosi, potrebbero scoprire la loro reale natura (negativa).

L’evitamento delle situazioni sociali è alimentato da temi cognitivi quali l’auto-disapprovazione, l’aspettativa del rifiuto interpersonale e la convinzione che le emozioni ed i pensieri spiacevoli siano intollerabili.
Un’emozione centrale del disturbo evitante è la vergogna: le situazioni sociali devono essere evitate perché è lì che le loro inadeguatezze sono esposte alla vista di tutti. I pazienti evitanti possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé e trattenere sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati o umiliati. Questo disturbo di personalità è una variante di spettro della fobia sociale generalizzata.

DSM-5: Disturbo evitante di personalità – Criteri diagnostici

Un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. Evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale per timore di essere criticato/a, disapprovato/a o rifiutato/a.
2. È riluttante ad entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo/a di piacere.
3. Mostra limitazioni nelle relazioni intime per timore di essere umiliato/a o ridicolizzato/a.
4. Si preoccupa di essere criticato/a o rifiutato/a in situazioni sociali.
5. È inibito/a in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza.
6. Si vede come socialmente inetto/a, personalmente non attraente o inferiore agli altri.
7. È insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o a impegnarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.

Chi ne soffre presenta un marcato bisogno di essere accudito e seguito da parte degli altri, ha difficoltà a prendere decisioni senza richiedere una eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni, può offrirsi per compiti spiacevoli pur di ottenere accudimento e supporto. Tali individui mancano di fiducia nella propria persona e hanno una grande insicurezza circa la propria capacità di provvedere a sé stessi. Spesso reclamano di non poter prendere decisioni e di non sapere cosa fare e come farlo.

Questo comportamento è dovuto in parte alla convinzione che gli altri siano più capaci e in parte alla riluttanza a esprimere le proprie opinioni per paura di offendere con le persone di cui hanno bisogno. Le personalità dipendenti, però, non sono solo docili e guidati dalle prospettive altrui, desiderosi di accondiscendere al volere dell’altro e privi di scopi personali.

Questi individui, in realtà, hanno dei desideri propri che, però, difficilmente riescono a riconoscere e, quindi, a perseguire; in alcuni casi, tuttavia, possono essere consapevoli di avere uno scopo diverso da quello di un’altra persona o una loro preferenza ma presentano grosse difficoltà nel mettere in atto dei comportamenti finalizzati al raggiungimento dei loro desideri, se non sono sostenuti dall’approvazione del partner o delle figure di riferimento (es. genitori, colleghi di lavoro, amici con caratteristiche da leader). Le relazioni sono, dunque, il faro che guida le scelte personali.

DSM-5: Disturbo dipendente di personalità – Criteri diagnostici

Una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. Ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza un’eccessiva quantità di consigli e rassicurazione da parte degli altri.
2. Ha bisogno che altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita.
3. Ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per timore di perdere supporto o approvazione.
4. Ha difficoltà ad iniziare progetti o a fare cose autonomamente (per una mancanza di fiducia nel proprio giudizio o nelle proprie capacità piuttosto che per mancanza di motivazione o energia).
5. Può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento o supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli.
6. Si sente a disagio o indifeso/a quando è solo/a a causa dell’esagerato timore di essere incapace di prendersi cura di sé.
7. Quando termina una relazione intima, cerca con urgenza un’altra relazione come fonte di accudimento e di supporto.
8. Si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato/a a prendersi cura di sé.

Le persone con questo disturbo di personalità sono coscienziose, ordinate e affidabili, ma la loro rigidità spesso le rende incapaci di adattarsi ai cambiamenti. Presentano le seguenti caratteristiche: tendenza al perfezionismo, difficoltà a portare a termine i propri compiti, riluttanza a delegare ed a cooperare, testardaggine, rigidità su questioni di etica e di moralità, difficoltà a manifestare le proprie emozioni, bisogno di controllo nel lavoro e nelle relazioni interpersonali.

Poiché sono prudenti e soppesano tutti gli aspetti di un problema, possono avere difficoltà nel prendere decisioni. L’individuo si presenta rigido, perfezionista, dogmatico, pensieroso, moralistico, inflessibile, irresoluto ed emotivamente e cognitivamente bloccato. Prendono sul serio le responsabilità ma, poiché odiano gli errori e l’incompletezza, possono perdersi nei dettagli e dimenticare lo scopo dei propri compiti o avere problemi a portarli a termine. Come risultato, le responsabilità provocano ansia ed essi sono raramente soddisfatti dei propri successi.

Hanno la tendenza a fare schemi, liste, programmi e gerarchie relativi allo svolgimento di un compito; accumulare oggetti consumati o di nessun valore; mostrano avarizia e mancanza di generosità, in quanto considerano il denaro come qualcosa da accumulare in vista di catastrofi future Nel rapporto interpersonale appaiono formali, educati e corretti ma il comportamento è giudicante, critico, controllante e punitivo nei confronti di coloro con cui entrano in relazione.

L’atteggiamento è compiacente e fintamente ossequioso nei confronti di figure che percepiscono come autorevoli. Mostrano una forte riluttanza a delegare lo svolgimento dei compiti e scarsa collaborazione nei gruppi di lavoro e, infine, insistenza nel pretendere che i subordinati aderiscano ai ruoli ed ai metodi che essi stabiliscono.

DSM-5: Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità – Criteri diagnostici

Un pattern pervasivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo mentale e interpersonale, a spese di flessibilità, apertura e efficienza, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. È preoccupato/a per i dettagli, le regole, le liste, l’ordine, l’organizzazione o i programmi, al punto che va perduto lo scopo dell’attività.
2. Mostra un perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti (per es., è incapace di completare un progetto perché non risultano soddisfatti i suoi standard oltremodo rigidi).
3. È eccessivamente dedito/a al lavoro e alla produttività, fino all’esclusione delle attività di svago e delle amicizie (non giustificati da evidenti necessità economiche).
4. È eccessivamente coscienzioso/a scrupoloso/a e intransigente in tema di moralità, etica o valori (in modo non giustificato dall’appartenenza culturale o religiosa).
5. È incapace di gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato affettivo.
6. È riluttante a delegare compiti o a lavorare con altri, a meno che non si sottomettano esattamente al suo modo di fare le cose.
7. Adotta una modalità di spesa improntata all’avarizia sia per se che per gli altri; il denaro è visto come qualcosa da accumulare in caso di future catastrofi.
8. Manifesta rigidità e testardaggine.

Trattamento

Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC)

La terapia cognitiva per i disturbi di personalità ideata da Beck e Freeman (1993) è un trattamento cognitivo-comportamentale che si focalizza sul riconoscimento e sulla messa in discussione delle credenze disfunzionali su di Sé, sugli altri e sul mondo.

Il trattamento d’elezione per i disturbi di personalità, infatti, è una TCC a lungo termine volta ad individuare non solo i comportamenti disfunzionali, ma anche il tessuto di cognizioni, aspetti affettivi e strategie che caratterizzano il disturbo. Si tratta dell’analisi approfondita della struttura disadattiva del paziente che si riflette nel suo modo di pensare, agire, provare emozioni, fronteggiare i problemi.

Fondamentale è l’analisi degli schemi di base o profondi (core belief). Lo scopo dell’analisi della struttura è quello di modificarla. Il trattamento dei disturbi di personalità deve necessariamente implicare la modificazione degli schemi disturbanti o disadattivi che sono convinzioni perduranti, inflessibili e pervasive su di sé e sul mondo e che influenzano fortemente i pensieri, le credenze e i comportamenti.

Gli scopi della terapia e il processo di cambiamento richiedono: 1) che la struttura disadattiva venga abbandonata; 2) che venga adottata una struttura maggiormente adattiva; 3) che la nuova struttura si generalizzi nei pensieri, nei modi di provare emozioni, nei comportamenti, e sia mantenuta nel tempo.
La modificazione di tale funzionamento rigido e pervasivo condurrà gradualmente al miglioramento dell’autostima e delle relazioni interpersonali, e permetterà una visione più realistica del futuro che consentirà di programmare obiettivi di vita ritenuti importanti per la persona.

Schema Focused Therapy (SFT)

La Schema Therapy di Jeffrey Young (2004) è una recente integrazione della terapia cognitiva, che si basa essenzialmente sull’utilizzo di tecniche cognitive, esperienziali, emotive e comportamentali, volte a guidare la persona verso una progressiva conoscenza dei meccanismi alla base del proprio funzionamento (schemi o “trappole”), soprattutto in ambito interpersonale e delle strategie di coping disfunzionali alla base dello sviluppo e del mantenimento delle proprie difficoltà e della profonda sofferenza che spesso caratterizza le loro vite. Questo tipo di terapia mira, in particolare, al cambiamento degli schemi disfunzionali, alla regolazione emotiva e allo sviluppo di relazioni sane per il paziente.

Il passo successivo consiste nella realizzazione di target comportamentali concreti che migliorino la qualità di vita della persona, portandola a vivere meglio con se stessa e di conseguenza con gli altri.
Gli schemi o “trappole”, si originano in risposta alla sistematica frustrazione nella prima infanzia di bisogni fondamentali (sicurezza, stabilità, apprezzamento, attenzione, regole) ad opera delle principali figure di riferimento.

Fondamentale diventa quindi la relazione terapeutica, quale “luogo sicuro” in cui la persona può sperimentare nuove modalità di funzionamento e beneficiare di esperienze emotive correttive rispetto alla maggior parte delle proprie interazioni precedenti, soprattutto con le figure genitoriali.

Dialectical Behavior Therapy (DBT)

La DBT rappresenta il trattamento d’elezione evidence-based ideato da Marsha M. Linehan (2014) per il Disturbo Borderline di Personalità che integra i principi della mindfulness, il behaviorismo e la terapia cognitivo-comportamentale Il trattamento è specificatamente rivolto alla disregolazione emotiva e al trattamento di comportamenti impulsivi e autolesivi. La DBT lavora sui comportamenti disfunzionali o disadattivi (comportamenti suicidari e parasuicidari, impulsivi e disfunzionali) che impattano sulla vita della persona affetta da disturbo borderline della personalità.

Lo scopo è modificare questi comportamenti acquisendone nuovi o apprendendo ad utilizzare comportamenti alternativi e funzionali. Il trattamento consiste in una co-terapia, in cui diversi terapeuti interagiscono verso un obiettivo comune. Il terapeuta individuale, i terapisti conduttori dello skills training di gruppo, a volte anche lo psichiatra. L’incapacità nel regolare emozioni quali rabbia, senso di sfiducia negli altri, disperazione, angoscia, spesso vissute come intense, può limitare lo sviluppo di rapporti interpersonali stabili determinando, in alcuni casi, aggressività auto o eteroindotta.

Lo skill-training assume una rilevanza fondamentale nella DBT, poiché è volto a colmare deficit nelle abilità di autoregolazione delle emozioni, dei comportamenti e delle relazioni interpersonali.

Terapia Metacognitiva (TM)

La Terapia Metacognitiva (Wells 2008) è una recente evoluzione della terapia cognitivo-comportamentale il cui intervento terapeutico si concentra principalmente sul modo in cui le persone pensano e sulle regole implicite che governano il modo di pensare. Gli individui affetti da problemi psichici cronici di diversa natura presentano spesso una scarsa capacità metacognitiva, ovvero una costante difficoltà nell’attribuzione di significato ai propri e altrui stati mentali.

In termini cognitivi, la capacità umana di comprendere e riflettere sullo stato mentale proprio e altrui e quindi sulle proprie ed altrui percezioni, facilita: a) la previsione del proprio comportamento e di quello dell’altro; b) il controllo dei propri pensieri; c) la capacità di dirigere e conoscere i propri processi di apprendimento. Tale abilità cognitiva si acquisisce normalmente intorno ai 3-4 anni e gli adulti ne fanno uso nella vita di tutti i giorni senza averne consapevolezza.

I pazienti dello spettro psicotico e i pazienti con disturbi gravi di personalità presentano difetti nelle funzioni metacognitive e questa difficoltà si riflette sul loro benessere e sulle loro abilità generali di adattamento. La ricerca ha evidenziato che tali aspetti sono riscontrabili in contesti interpersonali in cui domina uno stile relazionale freddo, distaccato e talvolta ostile. Una migliorata meta cognizione, in seguito ad un trattamento psicoterapico, si associa favorevolmente alla diminuzione dei sintomi e ad un miglioramento del funzionamento sociale.

L’incremento, quindi, di abilità matacognitive facilita l’autoriflessività sul fenomeno cognitivo, grazie alla capacità di auto-osservare e riflettere sui propri e altrui stati mentali. Considerando la rilevanza della metacognizione in molti problemi psichici è importante che il processo psicoterapico intervenga al fine di aumentare le abilità dei pazienti ad esercitare ed incrementare quelle capacità mentali di cui sono carenti.

Bibliografia

DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014
Linehan,M.M., (2014) DBT Skills Training Manual. New York: The Guilford Press
Linehan,M.M., (2014) DBT Skills Handouts and Worksheets. New York: The Guilford Press
Wells, A. (2008). Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression. New York, USA: Guilford Press
Wells, A. & Matthews, G. (1994). Attention and Emotion. A Clinical Perspective. Hove, UK: Erlbaum.

Film
Shame (Steve McQeen, 2011)
Ragazze interrotte (James Mangold, 1999)