Disturbi d’ansia
L’ansia è un’emozione naturale e universale; è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress, il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia chiaramente sopraggiunto. L’ansia mette in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono da un lato all’esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall’altro, all’evitamento e alla eventuale fuga. Questa caratteristica di interesse ed evitamento nei confronti di un possibile pericolo si ritrova soltanto negli uomini e negli animali superiori e favorisce la conoscenza del mondo circostante e un migliore adattamento ad esso. La sua base biologica si chiama meccanismo attacco-fuga (fight or flight) e rappresenta la modalità con cui l’organismo si prepara all’attacco o alla fuga.
I disturbi d’ansia comprendono quei disturbi che condividono caratteristiche di paura e ansia eccessive e i disturbi comportamentali correlati. L’ansia è l’anticipazione di una minaccia futura e i suoi sintomi coincidono con l’attivazione di un sistema di allarme che prepara l’organismo all’attacco o alla fuga. Si associa quindi alla tensione muscolare e alla vigilanza in preparazione al pericolo futuro e a comportamenti prudenti o di evitamento. La paura è la risposta emotiva ad una minaccia imminente, reale o percepita, e si associa a picchi di attivazione autonomica necessaria alla lotta o alla fuga, a pensieri di pericolo immediato e a comportamenti di fuga.
I disturbi d’ansia differiscono dalla normale paura o ansia perché sono eccessivi o persistenti. Dal momento che gli individui con i disturbi d’ansia sopravvalutano tipicamente il pericolo nelle situazioni che temono o evitano, la valutazione primaria per stabilire se la paura o l’ansia siano eccessive o sproporzionate è fatta dal clinico, tenendo conto di fattori culturali contestuali. Molti disturbi d’ansia si sviluppano in età infantile e tendono a persistere se non vengono curati.
Il trattamento
Il trattamento elettivo per la cura dei disturbi d’ansia è la psicoterapia cognitivo comportamentale, che può essere associata ad un trattamento farmacologico.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale mira a eliminare o ridurre i sintomi dell’ansia e a raggiungere un adeguato adattamento dell’individuo all’ambiente utilizzando tecniche comportamentali e tecniche di ristrutturazione cognitiva (Beck, 1985).
In particolare nel panorama delle psicoterapia dell’ansia di stampo cognitivo comportamentale si distinguono due approcci principali:
la terapia metacognitiva e la terapia cognitiva standard.
Terapia metacognitiva
La terapia metacognitiva si focalizza sui fattori che contribuiscono allo sviluppo del disturbo d’ansia, tra cui:
- le credenze negative riguardo al fatto che il rimuginio sia pericoloso e incontrollabile;
- le credenze metacognitive positive riguardo all’utilità del rimuginio che viene visto come una modalità di coping efficace;
- alcuni aspetti comportamentali come i tentativi di evitare il rimuginio e di controllare i propri pensieri.
Terapia cognitiva standard (Cognitive Behavioural Therapy – CBT)
La terapia cognitiva standard si focalizza sull’intolleranza dell’incertezza e mira a ridurre l’ansia e il rimuginio aiutando i pazienti a migliorare la capacità di tollerare, affrontare e accettare l’inevitabile incertezza della quotidianità (Dugas & Robichaud, 2007). Le strategie e le tecniche utilizzate includono, per esempio, i training di consapevolezza dei propri stati ansiosi, le esposizioni in vivo e immaginative, le ristrutturazioni cognitive delle credenze irrazionali (pensiero catastrofico, bisogno di controllo, intolleranza dell’incertezza, timore di commettere errori o perfezionismo patologico, autovalutazione negativa, intolleranza delle emozioni, eccessivo senso di responsabilità) e gli esercizi di problem-solving.
Caratteristica principale del disturbo di panico è la sua comparsa improvvisa, senza alcun tipo di preavviso: in genere la persona ne rimane colpita mentre è intenta a svolgere le sue normali attività quotidiane. Il primo attacco di panico viene generalmente ricordato molto bene (il giorno, la situazione e perfino l’orario in cui avviene) e permane la paura che possa verificarsi di nuovo (ansia anticipatoria). L’attacco di panico è ricorrente e inaspettato. Per ricorrente si intende più di un unico attacco di panico inaspettato.
Per inaspettato ci si riferisce a un attacco di panico per il quale non vi è un chiaro elemento scatenante al momento dell’avvenimento. Al contrario, gli attacchi di panico attesi sono invece attacchi per i quali vi è un chiaro elemento scatenante. Stabilire se gli attacchi sono attesi o inaspettati è compito del clinico, il quale basa il proprio giudizio su una combinazione di attenta indagine della sequenza di eventi che hanno preceduto o portato all’attacco unita alla valutazione dell’individuo mirante a chiarire se l’attacco è sembrato verificarsi senza una ragione evidente oppure no.
I timori relativi agli attacchi di panico o alle loro conseguenze riguardano solitamente le preoccupazioni fisiche come il timore che essi indichino la presenza di una malattia non diagnosticata pericolosa per la vita; le preoccupazioni sociali come l’imbarazzo di essere valutati negativamente dagli altri a causa dei visibili sintomi di panico; e le preoccupazioni circa il funzionamento mentale come “impazzire” oppure perdere il controllo.
DSM-5: Disturbo di panico – Criteri diagnostici
A. Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano quattro (o più) dei seguenti sintomi:
Nota: La comparsa improvvisa può verificarsi a partire da uno stato di quiete oppure da uno stato ansioso.
1. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia.
2. Sudorazione.
3. Tremori fini o a grandi scosse.
4. Dispnea o sensazione di soffocamento.
5. Sensazione di asfissia.
6. Dolore o fastidio al petto.
7. Nausea o disturbi addominali.
8. Sensazioni di vertigine, di instabilità, di “testa leggera” o di svenimento.
9. Brividi o vampate di calore.
10. Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio).
11. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi).
12. Paura di perdere il controllo o di “impazzire”.
13. Paura di morire.
Nota: Possono essere osservati sintomi specifici per cultura (per es., tinnito, dolore al collo, cefalea, urla o pianto incontrollato). Tali sintomi non dovrebbero essere considerati come uno dei quattro sintomi richiesti.
B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese (o più) di uno o entrambi i seguenti sintomi:
1. Preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”).
2. Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi (per es., comportamenti pianificati al fine di evitare di avere attacchi di panico, come l’evitamento dell’esercizio fisico oppure di situazioni non familiari).
C. L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una droga, un farmaco) o di un’altra condizione medica (per es., ipertiroidismo, disturbi cardiopolmonari).
D. Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., gli attacchi di panico non si verificano solo in risposta a una situazione sociale temuta, come nel disturbo d’ansia sociale; in risposta a un oggetto o a una situazione fobica circoscritti, come nella fobia specifica; in risposta a ossessioni, come nel disturbo ossessivo compulsivo; in risposta al ricordo di un evento traumatico, come nel disturbo da stress post-traumatico; oppure in risposta alla separazione dalle figure di attaccamento, come nel disturbo d’ansia di separazione).
Il disturbo di panico, soprattutto quando si ripete più volte, può portare la persona ad autolimitarsi in vari modi (evitando di andare nei luoghi in cui pensa che l’attacco si possa ripetere, o ad aver paura di andare al supermercato, di guidare o di trovarsi in mezzo alla folla), può succedere quindi che l’attacco di panico (se non trattato) porti la persona a non uscire più di casa se non accompagnata da qualcuno e portare ad altre fobie come la fobia sociale o l’agorafobia.
L’età in cui tale disturbo si manifesta per la prima volta varia notevolmente da soggetto a soggetto ma tipicamente si colloca tra la tarda adolescenza e i 35 anni.
In base agli studi empirici finora realizzati, i fattori di rischio per l’insorgenza del disturbo di panico risultano essere:
– situazioni stressanti fisiche (es. malattie, mancanza di sonno, iperlavoro, uso di sostanze stupefacenti) e psicologiche (es. stress lavorativo, problemi finanziari, cambi di ruolo, conflitti interpersonali, malattie di familiari, lutti);
– iperventilazione: respirazione più rapida e profonda rispetto al fabbisogno d’ossigeno dell’organismo in un determinato momento;
– predisposizione genetica e familiarità: i consanguinei di primo grado si trasmettono la tendenza a rispondere con ansia a determinati stimoli;
– caratteristiche di personalità: maggiore sensibilità agli stimoli ansiogeni e uno “stile di pensiero catastrofico”.
Trattamento
La terapia cognitivo-comportamentale è molto efficace nella cura del disturbo di panico. Studi condotti in diversi paesi dimostrano che più dell’80% delle persone migliora dopo un breve periodo di terapia. Il panico influenza il nostro corpo, i nostri pensieri e le nostre azioni, per tali motivi la terapia cognitivo-comportamentale interviene in ognuna di queste tre aree.
Il termine agorafobia deriva dalla parola greca agorà che significa “piazza”; infatti i primi utilizzi del termine in psicologia e psichiatria si rivolgevano a persone che avevano paura di recarsi in posti affollati. In realtà, i pazienti con agorafobia temono le situazioni in cui è difficile scappare o ricevere soccorso e di conseguenza evitano tali luoghi al fine di controllare l’ansia legata alla prefigurazione di una nuova crisi di panico. Nella maggior parte dei casi l’agorafobia è un problema che emerge secondariamente all’insorgenza di attacchi di panico o crisi d’ansia minori e si instaura quando il soggetto comincia ad evitare sistematicamente tutti i luoghi, le situazioni ed i contesti nei quali ci potrebbero essere ostacoli alla possibilità di essere aiutati.
Si tratta, in pratica, di una paura irrazionale che si può dunque sperimentare nei confronti degli spazi aperti, di luoghi esterni e non familiari, oltreché di uscire di casa. La gravità dell’ansia e dei comportamenti evitanti variano da persona a persona e l’agorafobia è di solito una manifestazione fortemente invalidanti in quanto chi ne soffre spesso diventa totalmente dipendente dalle mura domestiche oppure è costretto ad uscire di casa solo se accompagnato. Tra le situazioni che più frequentemente vengono evitate si riscontrano: uscire o rimanere a casa da soli; guidare o viaggiare in automobile; frequentare luoghi affollati come mercati o concerti; prendere l’autobus o l’aeroplano; essere su un ponte o in ascensore.
L’agorafobia può essere diagnosticata all’interno del Disturbo di Panico con Agorafobia o come agorafobia senza anamnesi di Disturbo di Panico. In questo ultimo caso, le crisi che il paziente evita sono caratterizzate da sintomi d’ansia (ad es., panico) ma senza tutte le caratteristiche dell’attacco di panico vero e proprio.
DSM-5: Agorafobia – Criteri diagnostici
A. Paura o ansia marcate relative a due (o più) delle seguenti cinque situazioni:
1. Utilizzo dei trasporti pubblici (per es., automobili, bus, treni, navi, aerei).
2. Trovarsi in spazi aperti (per es., parcheggi, mercati, ponti).
3. Trovarsi in spazi chiusi (per es., negozi, teatri, cinema).
4. Stare in fila oppure tra la folla.
5. Essere fuori casa da soli.
B. L’individuo teme o evita queste situazioni a causa di pensieri legati al fatto che potrebbe essere difficile fuggire oppure che potrebbe non essere disponibile soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi simili al panico o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti (per es., negli anziani paura di cadere, paura dell’incontinenza).
C. La situazione agorafobica provoca quasi sempre paura o ansia.
D. Le situazioni agorafobiche vengono attivamente evitate, o richiedono la presenza di un accompagnatore, o vengono sopportate con paura o ansia intense.
E. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo posto dalla situazione agorafobica e al contesto socioculturale.
F. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti, e durano tipicamente 6 mesi o più.
G. La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
H. Se è presente un’altra condizione medica (per es., sindrome dell’intestino irritabile, malattia di Parkinson), la paura, l’ansia o l’evitamento sono chiaramente eccessivi.
I. La paura, l’ansia o l’evitamento non sono meglio spiegati dai sintomi di un altro disturbo mentale: ad esempio, i sintomi non sono limitati alla fobia specifica, tipo situazionale; non coinvolgono solamente situazioni sociali (come nel disturbo d’ansia sociale); e non sono legati esclusivamente a ossessioni (come nel disturbo ossessivo-compulsivo), a difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico (come nel disturbo di dismorfismo corporeo), a ricordi di eventi traumatici (come nel disturbo da stress post-traumatico), oppure a timore della separazione (come nel disturbo d’ansia di separazione).
Nota: L’agorafobia è diagnosticata indipendentemente dalla presenza di disturbo di panico. Se la presentazione di un individuo soddisfa i criteri per il disturbo di panico e per l’agorafobia, dovrebbero essere poste entrambe le diagnosi.
Trattamento
Nell’ambito della psicoterapia cognitivo-comportamentale, le tecniche di esposizione si sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia agorafobica. Alcuni autori suggeriscono metodi combinati con tecniche cognitivo comportamentali e di addestramento al rilassamento. Nella maggior parte dei casi, l’agorafobia sembra collegata al disturbo di panico. Se questo viene trattato, l’agorafobia spesso migliora nel tempo. L’agorafobia senza storia di disturbo di panico è spesso invalidante e cronica. I disturbi depressivi e la dipendenza da alcool possono spesso complicarne il decorso.
La fobia specifica è rappresentata dalla paura estrema e non razionale nei confronti di oggetti o situazioni che in realtà non sono pericolosi per la persona che è afflitta da tale disturbo. L’esposizione allo stimolo fobico provoca una immediata risposta ansiosa che si traduce in sintomi fisici quali: tachicardia, gastrite, scompensi urinari, nausea, senso di soffocamento, sudorazione eccessiva, tremore, rossore ed evitamento dello stimolo fobico. L’evitamento, la paura e l’ansia anticipatoria che sovvengono allo stimolo fobico non fanno che interferire sempre più profondamente con la vita quotidiana: il lavoro, la scuola, il tempo libero, le vacanze, la vita sociale e affettiva, etc.
La fobia specifica (precedentemente denominata fobia semplice) è definita attraverso il seguente set di criteri diagnostici (DSM – 5):
DSM-5: Fobia specifica – Criteri diagnostici
A. Paura o ansia marcate verso un oggetto o situazione specifici (per es., volare, altezze, animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue).
Note: Nei bambini, la paura o l’ansia possono essere espresse da pianto, scoppi di collera, immobilizzazione (freezing) o aggrappamento (clinging).
B. La situazione o l’oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia.
C. La situazione o l’oggetto fobici vengono attivamente evitati, oppure sopportati con paure o ansia intense.
D. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifici e al contesto socioculturale.
E. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente per 6 mesi o più.
F. La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
G. Il disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale, tra cui la paura, l’ansia e l’evitamento di situazioni associate a sintomi simili al panico o ad altri sintomi invalidanti (come nell’agorafobia); oggetti o situazioni legate a ossessioni (come nel disturbo ossessivo-compulsivo); ricordi di eventi traumatici (come nel disturbo da stress post-traumatico); separazione da casa o dalle figure di attaccamento (come nel disturbo d’ansia da separazione); o situazioni sociali (come nel disturbo d’ansia sociale).
Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
L’ansia, gli attacchi di panico o l’evitamento fobico associati con l’oggetto o situazione specifica non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale.
Lo psicologo dovrà inoltre specificare il tipo di fobia specifica:
– Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, etc.
– Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), etc.
– Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc.. In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.
– Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare (aviofobia), guidare, oppure luoghi chiusi (claustrofobia o agorafobia).
– Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia (vedi anche disturbo ossessivo-compulsivo e ipocondria), ecc. Una forma particolare di fobia riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrendo, inguardabile, ripugnante (dismorfofobia).
Trattamento
Il trattamento delle fobie, se non complicato da altri disturbi psicologici, è relativamente semplice e garantisce un successo nel 90-95% dei casi. La psicoterapia cognitivo-comportamentale delle fobie, si fonda sull’utilizzo di tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Psicologo e paziente costruiscono insieme una gerarchia di situazioni temute, dalla meno ansiogena alla più paurosa, che vengono affrontate con gradualità. In alcuni casi, per rendere più efficace il metodo, si insegnano al paziente strategie di rilassamento fisiologico e lo si invita ad utilizzarle poco prima di esporsi agli stimoli ansiogeni, in modo da facilitare la creazione di un nuovo condizionamento, in cui l’organismo associ rilassamento, anziché ansia, a tali stimoli.
L’elemento psicopatologico che è alla base della Fobia Sociale (FB) è rappresentato dalla spiccata sensibilità al giudizio degli altri cui conseguono sia disagio nelle relazioni interpersonali (con paura di apparire ridicoli e di comportarsi in modo goffo ed inadeguato), sia evitamento delle “situazioni” o delle “prestazioni” che generano tale disagio.
Va tuttavia sottolineato che il timore ed il disagio percepiti dal soggetto sono assolutamente sproporzionati rispetto alla reale entità delle situazioni da affrontare (ad es., lavorare o scrivere mentre si è osservati, chiedere informazioni, bere in un bar, mangiare in un ristorante, usare bagni pubblici, rispondere al telefono oppure telefonare a qualcuno che non si conosce etc).
Nel corso dell’esposizione alle situazioni temute possono manifestarsi sintomi fisici quali palpitazioni, vertigini, rossore, tremori, sudorazione, vampate di calore, etc. L’incremento dell’ansia comporta inevitabilmente un aumento della tensione e della distraibilità del soggetto che spesso finisce per trovarsi in difficoltà sul piano comportamentale non riuscendo così a portare a termine la “prestazione” prefissata. L’età d’esordio del disturbo si colloca generalmente tra i 15 e i 25 anni mentre la richiesta d’intervento psicologico o psichiatrico avviene in media dopo 10 anni ed è spesso determinata dall’insorgenza di complicanze quali depressione o abuso di alcolici.
L’esagerato ed irrazionale timore del giudizio degli altri che è alla base dell’evitamento delle “situazioni” e delle “prestazioni” temute impedirà (o limiterà fortemente) l’auto-esposizione costituendo così il fondamento per l’eventuale cronicizzazione del problema; d’altra parte, la particolare natura “sociale” degli stimoli fobici rende ragione del motivo per il quale tale disturbo può diventare talvolta francamente invalidante.
DSM-5: Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale) – Criteri diagnostici
A. Paura o ansia marcate relative a una o più situazioni sociali nelle quali l’individuo è esposto al possibile esame degli altri. Gli esempi comprendono interazioni sociali (per es., avere una conversazione, incontrare persone sconosciute), essere osservati (per es., mentre si mangia o si beve) ed eseguire una prestazione di fronte ad altri (per es., fare un discorso).
Nota: Nei bambini, l’ansia deve manifestarsi in contesti in cui vi sono coetanei e non solo nell’interazione con gli adulti.
B. L’individuo teme che agirà in modo tale o manifesterà sintomi di ansia che saranno valutati negativamente (cioè saranno umilianti o imbarazzanti; porteranno al rifiuto o risulteranno offensivi per altri).
C. Le situazioni sociali temute provocano quasi invariabilmente paura o ansia.
Nota: Nei bambini, la paura o l’ansia possono essere espresse piangendo, con scoppi di collera, con immobilizzazione (freezing), aggruppamento (clinging), ritiro (shrinking), oppure non riuscendo a parlare durante le interazioni sociali.
D. Le situazioni sociali temute sono evitate oppure sopportate con paura o ansia intense.
E. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto alla reale minaccia posta dalla situazione sociale e al contesto socioculturale.
F. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più.
G. La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
H. La paura, l’ansia o l’evitamento non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una droga, un farmaco) o a un’altra condizione medica.
I. La paura, l’ansia o l’evitamento non sono meglio spiegati dai sintomi di un altro disturbo mentale, come disturbo di panico, disturbo di dismorfismo corporeo o disturbo dello spettro dell’autismo.
J. Se è presente un’altra condizione medica (per es., malattia di Parkinson, obesità, deturpazione da ustione o ferita), la paura, l’ansia o l’evitamento sono chiaramente non correlati oppure eccessivi.
Specificare se:
Legata solo alla performance
Trattamento
Secondo il modello cognitivo-comportamentale l’ipervigilanza verso il timbro della voce, verso gli sguardi diretti, i gesti, la postura e le reazioni degli altri fanno sì che l’attenzione non sia rivolta nella giusta misura ai contenuti della conversazione e anche mancanze di poco conto, vengono amplificate eccessivamente e vanno a rinforzare convinzioni errate relative alla propria inadeguatezza con il conseguente innalzamento dei livelli d’ansia nei contesti sociali.
Sulla base di questo modello sono state proposte metodiche terapeutiche volte a modificare l’assetto cognitivo e i modelli comportamentali dei soggetti con fobia sociale.
Le finalità della terapia cognitivo-comportamentale sono dunque così sintetizzabili:
– rimuovere le modalità di pensiero che alimentano l’ansia sociale;
– ridurre la tendenza all’amplificazione peggiorativa (rinforzi negativi sul comportamento);
– modificare l’ipervigilanza verso i possibili segni di fallimento;
– ridurre le condotte di evitamento e favorire l’esposizione.
Il disturbo d’ansia generalizzata è un disturbo d’ansia caratterizzato da uno stato di preoccupazione per diversi eventi che risulta eccessivo in intensità, durata o frequenza rispetto all’impatto o alla probabilità reale degli eventi temuti dal soggetto. Tale stato non risulta associato a specifiche circostanze, è difficile da controllare per chi lo sperimenta ed è presente nel soggetto per la maggior parte del tempo per almeno sei mesi.
Si riscontrano anche sintomi somatici, quali: sudorazione, vampate, batticuore, nausea, diarrea, bocca secca, nodo alla gola, etc. Talvolta vengono lamentati disturbi muscolo-scheletrici, come tensione (soprattutto alla nuca e al collo), tic, tremori, affaticabilità. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) soffre di disturbo d’ansia generalizzato il 5% della popolazione mondiale, soprattutto donne. Solo un terzo di chi ne soffre, tuttavia, si rivolge ad uno specialista della salute mentale, in quanto i sintomi fisici dell’ansia spesso portano i pazienti a rivolgersi ad altre figure professionali (es. medico di base, internista, cardiologo, pneumologo, gastroenterologo).
DSM-5: Disturbo d’ansia generalizzata – Criteri diagnostici
A. Ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).
B. L’individuo ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.
C. L’ansia e la preoccupazione sono associate a tre (o più) dei sei seguenti sintomi (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi).
Nota: Nei bambini è richiesto solo un item.
1. Irrequietezza, o sentirsi tesi/e, “con i nervi a fior di pelle”.
2. Facile affaticamento.
3. Difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria.
4. Irritabilità.
5. Tensione muscolare.
6. Alterazioni del sonno (difficoltà a addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente).
D. L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
E. La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una droga, un farmaco) o di un’altra condizione medica (per es., ipertiroidismo).
F. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale (per es., l’ansia o il timore di avere attacchi di panico nel disturbo di panico, la valutazione negativa nel disturbo d’ansia sociale [fobia sociale], la contaminazione o altre ossessioni nel disturbo ossessivo-compulsivo, la separazione dalle figure di attaccamento nel disturbo d’ansia di separazione, i ricordi di eventi traumatici nel disturbo da stress post-traumatico, il prendere peso nell’anoressia nervosa, le lamentele fisiche nel disturbo da sintomi somatici, i difetti percepiti nell’aspetto fisico nel disturbo di dismorfismo corporeo, l’avere una grave malattia nel disturbo da ansia di malattia, oppure il contenuto di convinzioni deliranti nella schizofrenia o nel disturbo delirante).
Clinicamente il disturbo d’ansia generalizzato si distingue dal disturbo da attacchi di panico per la presenza di sintomi ansiosi persistenti che non hanno la criticità e drammaticità dell’attacco di panico e che non sono associati allo sviluppo di condotte di evitamento fobico. Dal confronto dei due disturbi emerge che il disturbo da attacchi di panico ha una durata più lunga, una maggiore incidenza di depressione secondaria ed un più frequente ricorso a terapie di tipo psicofarmacologico.
Trattamento
Il supporto psicoterapico è considerato efficace perché modifica le cognizioni distorte del paziente che lo portano a vivere gli eventi come possibili catastrofi, e sostituisce i pensieri ansiosi con visioni maggiormente rispondenti alla realtà. Sono molto utili anche le tecniche di rilassamento perché insegnano al soggetto a controllare i sintomi neurovegetativi che sono causa di malessere.
Bibliografia
Beck, A.T., Emery, G., Greenberg, R. (1985), L’ansia e le fobie. Una prospettiva cognitiva. Tr. it. Astrolabio, Roma, 1988.
DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Dugas, M. J., & Robichaud, M. (2007). Practical clinical guidebooks. Cognitive-behavioral treatment for generalized anxiety disorder: From science to practice.
Film
Supercondriaco (Dany Boon, 2014)
Emotivi anonimi (Jean-Pierre Améris, 2011)
Qualcosa è cambiato (James L. Brooks, 1997)